MARZIO PEPE
Il primo giorno ne ho disegnato uno. Lo schema è sempre quello: vedo il volto e vado avanti, gli fornisco corpo e spirito. Lo schema si ripete come un’infinita coda di DNA: la mano scivola e la punta ricomincia, che sia essa di feltro o di acciaio. L’inchiostro prende vita e la vibrazione pervade la carta: anche al buio sul fondo di un cassetto quelle tavole vibrano. Passa del tempo e viene voglia di riguardare le vecchie tavole: molti “Amici” li riconosco, altri li ricordo, ci sono anche i nemici. “Guarda! Un cowboy con la pistola”…”Ma no! E’ il macellaio che affila il coltello”. In ogni “amico” potresti riconoscere chiunque: dal vicino di casa a un vecchio professore di chimica del liceo, il politico del momento e il cantante in vetta alla classifica. Tutti nello stesso soggetto. Su ogni tavola la distribuzione nello spazio prende forma immediatamente dopo aver creato il primo “amico”: amico dopo amico le righe si srotolano tese come nastri d’acciaio e a volte pulsano come pattern musicali del migliore software di composizione musicale. Dentro alle dimensioni del supporto si celano le diverse comunità vibranti. Tante “personcine amiche” che galleggiano nello stesso spazio ma che ci sono affiorate una dopo l’altra come le caramelle che spariscono dal sacchetto: una dopo l’altra. Queste anime su carta possiedono una goccia del mio spirito, delle persone che ho incontrato nella mia vita presente, passata e futura. Non si muore mai davvero. Qualcuno di recente mi ha chiesto come mai le disegno: rispondo che in realtà non ho un’idea precisa del motivo. Quello che davvero ho capito è che lo schema si ripete, sempre uguale ma sempre diverso. Questo è il mondo in cui viviamo, uno schema dopo l’altro, un sorriso o un pianto, un amico o un nemico, un successo o un insuccesso. L’ispirazione la prendo da questo: la matrice che ci circonda, che ci comanda, che si ripete sempre uguale tra mille sfumature. Leggo il codice e lo riporto sul foglio, ancora e ancora come il tempo fa con lo spazio: lo spazio non esiste e il tempo lo ripropone incessantemente per tutta la durata della vita. ? 300 tavole dopo e circa 1800 “amici” o giù di li = mi accorsi che avevo voglia di dare un nome a tutta questa folla ! Il punto esclamativo (!) improvvisamente si stacca dal foglio e cade a testa in giù trasformandosi in una (i)! Folla Follia – Folla Follia – Folla Follia.
Foll(i)a.
Io li chiamo Amici.
MARZIO PEPPER
On the first day, I drew one. The pattern is always the same: I see the face and continue, giving it body and spirit. The pattern repeats itself like an infinite queue of DNA: the hand slips, and the tip starts again, whether it’s made of felt or steel. The ink comes to life, and the vibration pervades the paper; even in the dark at the bottom of a drawer, those drawings vibrate. As time passes, I feel like looking back at the old drawings. I recognize many of the “Friends”; others I remember, and there are also enemies. “Look! A cowboy with a gun”…”But no! It’s the butcher sharpening the knife.” In each “Friend,” you could recognize anyone: from the neighbor to an old high school chemistry teacher, the politician of the moment, and the singer at the top of the charts. All in the same subject. On each drawing, the spatial distribution takes shape immediately after creating the first “Friend”: friend after friend, the lines unroll as taut as steel ribbons and sometimes pulsate like musical patterns in the best music composition software. Within the dimensions of the support, different vibrant communities are hidden. Many “friendly people” float in the same space but emerged one after the other, like candies disappearing from the bag. These souls on paper possess a drop of my spirit, of the people I have met in my present, past, and future life. You never really die. Someone recently asked me why I draw them. I answer that, in reality, I don’t have a precise idea of the reason. What I really understand is that the pattern repeats itself, always the same but always different. This is the world we live in, pattern after pattern, smile or cry, friend or foe, success or failure. I take inspiration from this: the matrix that surrounds us, that commands us, that always repeats itself in a thousand shades. I read the code and put it on the sheet again and again, as time does with space: space does not exist, and time reproduces it incessantly for the duration of life. 300 drawings later and about 1800 “Friends” or so, I realized that I wanted to name this crowd! The exclamation point (!) suddenly detaches from the sheet and falls upside down, transforming into an (i)! Crowd Madness – Crowd Madness – Crowd Madness. Folly.
I call them Friends.